Anche nel campo delle MICI/IBD (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) sta assumendo un particolare rilievo il tema della gestione del, cosiddetto, “paziente fragile”. Una categoria ben nota ai clinici ma che il pubblico ha imparato a conoscere, con varie sfumature, in particolare nei mesi dell’emergenza COVID.
Chi sono i fragili e come va affrontata questa particolare tipologia di pazienti in cura per una Malattia Infiammatoria Intestinale?
Lo abbiamo chiesto alla Prof.ssa Emma Calabrese (Prof. Associato Gastroenterologia, Università Tor Vergata, Roma) e alla Dr.ssa Paola Balestrieri (Fond.ne Policlinico Universitario Campus Biomedico, Roma), intervistate per il nostro canale YouTube
Balestrieri “La fragilità è una condizione di vulnerabilità della persona. Nelle Malattie Infiammatorie Intestinali, in particolare quando la malattia è attiva, vi è una elevata prevalenza di fragilità, soprattutto in alcuni pazienti oltre i 60 anni. Questa prevalenza aumenta fino anche ad arrivare al 30% in questa popolazione di pazienti, per cui, quando dobbiamo gestire il nostro paziente in ambulatorio, dobbiamo partire dal suo livello di fragilità per impostare un trattamento che sia personalizzato al meglio per lui.”
D: “Quali sono le caratteristiche del paziente fragile? È soltanto un problema di età?”
Balestrieri “Non è soltanto un problema di età. La fragilità è presente anche in pazienti più giovani, se hanno anche una malattia infiammatoria cronica intestinale e hanno altre comorbidità, altre patologie, la fragilità è molto frequente.
La fragilità è una condizione multidimensionale perché coinvolge la sfera fisica del paziente, lo stato nutrizionale, ma anche la sfera emotiva, cognitiva, sociale, per cui è una condizione che deve essere valutata in maniera multidisciplinare.”
Evidentemente, profilando al meglio il paziente, si cerca di avere una migliore efficacia – e una maggiore sicurezza – anche a livello terapeutico e di questo parliamo con la professoressa Calabrese.
Calabrese “Come ha sottolineato la dottoressa Balestrieri, i pazienti fragili non sono per forza i pazienti più anziani ma è nei pazienti più anziani che abbiamo più studi che ci hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti a disposizione attualmente per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.
Abbiamo visto, prosegue la Prof.ssa Calabrese, che alcuni farmaci biologici possono determinare un maggior rischio di alcuni tipi di infezioni, soprattutto in pazienti che utilizzano più farmaci, come per esempio nei pazienti anziani che utilizzano maggiormente i corticosteroidi.
L’associazione di più farmaci può quindi in qualche modo indurre un maggior rischio di infezioni in questi pazienti. Però è anche importante fare sempre più ricerche, perché il concetto di fragilità, come ha detto la dottoressa Balestrieri, non coinvolge solo i pazienti anziani, ma anche i pazienti giovani. I pazienti fragili sono quelli che non vengono analizzati negli studi registrativi dei nuovi farmaci, perché naturalmente gli studi registrativi dei farmaci presentano delle caratteristiche ben precise di inserimento; quindi, c’è bisogno di più studi prospettici per analizzare proprio delle sottoclassi di pazienti e i pazienti fragili lo sono per capire bene l’efficacia e la sicurezza di tutti i farmaci che abbiamo e che avremo a disposizione.”
D: “Ambedue gli aspetti che abbiamo trattato sono complicati dall’assenza di un registro dei pazienti IBD?”
Calabrese: “In effetti sì: il registro manca ed è una carenza che si fa sentire non solo per il tema della fragilità, va detto anche che non abbiamo a disposizione un metodo di screening validato nelle MICI, per cui ci dobbiamo affidare a metodi di screening soprattutto che vengono applicati nella popolazione anziana, in ambito geriatrico e internistico. Per cui, anche qui, la ricerca deve fare passi avanti perché la fragilità è un fattore predittivo negativo per molte patologie, soprattutto a livello infettivo e di complicanze postoperatorie.”
D “La medicina di base può avere un compito importante sotto questo punto di vista, ce lo conferma?”
Calabrese “Sì, potrebbe aiutare soprattutto per prevenire le infezioni in questi pazienti perché già la proposta e l’incentivazione per esempio della vaccinazione, anche la semplice vaccinazione antinfluenzale, può essere un driver per noi per proporre delle terapie biologiche maggiormente in sicurezza, perché le vaccinazioni che possono essere proposte al di sopra dei 50 anni, la vaccinazione antinfluenzale, per la polmonite pneumococcica, per l’herpes zoster attualmente, possono essere un valido sistema protettivo e i medici di base potrebbero contribuire nella protezione di alcune fasce di pazienti a rischio.”
Arriviamo allora, grazie a questo spunto su età, vaccini e prevenzione, ad affrontare il grande tema del paziente anziano. Lo facciamo grazie al contributo della Prof.ssa Roberta Pica (Direzione UOC Gastroenterologia, Osp. S. Pertini, Roma) che potrete seguire in versione integrale sul nostro canale YouTube
“I pazienti con MICI/IBD, come sappiamo, sono affetti spesso da altre manifestazioni extra intestinali, come per esempio le manifestazioni articolari che noi trattiamo nelle nostre patologie, la spondiloartrite, le artriti periferiche, le forme assiali o anche le forme cutanee come la psoriasi” esordisce la Prof.ssa Pica.
“In particolare, i pazienti con IBD, come anche pazienti reumatologici, sono dei pazienti complessi in cui la malattia cronica – che evolve nel corso degli anni – può manifestarsi in differenti momenti e con differenti manifestazioni. Nella gestione clinica, ma anche nella gestione farmacologica, la collaborazione con i Reumatologi ci ha fatto capire come molte terapie possono essere estremamente efficaci per coprire tutti gli spettri della malattia. Una gestione condivisa con il Reumatologo di questa tipologia di pazienti, partendo dal paziente con spondiloartrite o artrite psoriasica, ci spiega come la manifestazione gastrointestinale sia estremamente importante ma anche avere i cosiddetti red flags articolari – per i pazienti con IBD – è estremamente importante per poter adattare la terapia.”
D: “La maggioranza dei pazienti si presenta già con una sintomatologia reumatologica?”
Pica: “Potremmo dire che per i pazienti IBD la prima manifestazione è proprio quella gastrointestinale e solamente nel corso del tempo riescono anche a manifestare o a descrivere manifestazioni articolari come per esempio assiali o periferiche. Quelle periferiche sono di facile diagnosi perché abbiamo delle articolazioni gonfie, eventualmente, quelli assiali sono un po’ più difficili. Se la prendiamo dal punto di vista del reumatologo sappiamo che i nostri pazienti con spondiloartrite hanno tutti una manifestazione intestinale. Il link gut-joint è uno degli aspetti della patofisiologia più importanti perché si è visto come un trigger intestinale possa poi manifestarsi in una manifestazione articolare. Molti studi hanno anche mostrato che, anche se i nostri pazienti non hanno manifestazioni tipiche di Malattia di Crohn o di Rettocolite Emorragica, possono avere delle lesioni sub cliniche alla colonscopia.”
D “E questo riguarda anche i pazienti giovani?”
Pica: “Soprattutto i pazienti giovani, anche se la reumatologia è spesso vista come una patologia del soggetto anziano. Pensiamo ai reumatismi, come ai dolori articolari di artrosi: indubbiamente l’artrosi è una forma reumatologica, ma quando parliamo di spondiloartriti o spondiloartrite assiale e periferica ci riferiamo a una popolazione giovane. Le manifestazioni di queste patologie si manifestano tutte prima dei 45 anni, tra i 20 e i 40 in genere; quindi, quando abbiamo dolore infiammatorio in questo tipo di pazienti con manifestazioni intestinali dobbiamo pensare anche a una patologia reumatica.”